La repubblica (it) : Diritti Umani Mauritania, fermato e poi rilasciato attivista per l’abolizione della schiavitù Yacoub Diarra

Mauritania, fermato e poi rilasciato attivista per l’abolizione della schiavitù Yacoub Diarra
Yacoub Diarra è presidente dell’Ira Mauritania sezione Italia e si era recato nel Paese africano per visitare il carcere di Aleg, dove dal novembre 2014 è rinchiuso il leader della protesta abolizionista Biram Dah Abeid. « In Mauritania – racconta la moglie di Diarra – la schiavitù si trasmette per via matriarcale: così la prole degli stupri dei padroni apparterrà per sempre ai padri violentatori »
di ANDREA SCUTELLA’
Nuovi segnali di guerra tra il regime militare mauritano e il movimento per l’abolizione della schiavitù Ira Mauritania. Mentre il presidente dell’associazione Biram Dah Abeid e il vicepresidente Brahim Bilal Ramdane sono detenuti da otto mesi nella prigione di Aleg, l’attivista Yacoub Diarra, al vertice della sezione italiana del movimento, è stato prelevato sabato 18 luglio dalle forze dell’ordine, in piena notte, e trascinato al commissariato Dar-Naïm. Secondo il Global slavery index la Mauritania è il Paese con il più alto tasso di schiavitù al mondo: il 4% della popolazione vive in questa condizione, ufficialmente abolita nel 1981 e criminalizzata ulteriormente nel 2007.

La schiavitù per nascita: fondata sulle idee e sulla violenza sessuale. « Esistono quattro tipi di schiavitù in Mauritania: delle idee, domestica, sessuale e fondiaria », racconta ancora Ivana. Con le idee e con il sesso l’etnia arabo-berbera al potere (neri più chiari) si garantisce la quota di schiavi haratin (i neri neri) che le spetta, secondo interpretazioni degenerate dell’islam, per diritto. « La schiavitù si trasmette in Mauritania per via matriarcale: così la prole degli stupri dei padroni apparterrà per sempre ai padri violentatori », prosegue l’attivista. Gli schiavi considerati troppo belli, invece, vengono castrati: si teme infatti che possano insidiare le figlie e le mogli della casta al potere, contaminandola con il loro seme. Il 27 aprile del 2012 gli attivisti dell’Ira hanno bruciato i testi di alcuni imam mauritani che contengono la legittimazione ideale del fenomeno. « L’Islam è una religione di pace », testimonia Ivana, il cui marito Yacoub è, appunto, musulmano. « Ma la religione in Mauritania viene strumentalizzata per costringere al silenzio e all’obbedienza la maggioranza della popolazione. In molti credono di poter accedere al paradiso soltanto tramite l’accettazione della propria condizione in vita ». Al fondo c’è poi il nucleo economico. « Gli schiavi, soprattutto anziani e bambini, fanno da domestici in casa. Poi lavorano gratuitamente le terre che sono state espropriate e vendute all’estero, magari agli indiani o ai cinesi », precisa ancora la vicepresidente di Ira Mauritania.Biram Dah Abeid, il Mandela mauritano. Nel novembre del 2014, proprio durante una protesta anti-schiavista, Biram Dah Abeid, che fondò il movimento nel 2008, è stato arrestato dalle autorità e da allora è detenuto nel carcere di Aleg. « È un po’ la Guantanamo mauritana – spiega Ivana – soprattutto per le condizioni igienico-sanitarie e per il caldo. Lo hanno arrestato perché è un bravo leader e perché fa paura, visto che alle ultime elezioni presidenziali è arrivato secondo ». Il 2013 è stato l’anno di maggiore celebrità per Biram: ha ricevuto, dal governo irlandese, il Front Line Award for Human Rights Defenders at Risk, consegnato agli attivisti che sono più in pericolo al mondo. Il 2013, però, è anche l’anno in cui Biram ha ricevuto il Premio per i diritti umani delle Nazioni unite. Nel 2014 è entrato nella lista delle « dieci persone che hanno cambiato il mondo di cui potreste non aver sentito parlare » di Peace Link Live.

Trentasei milioni di schiavi nel mondo. Quello della schiavitù moderna non è un problema che affligge solo la Mauritania. Secondo il Global Slavery Index si tratta di una condizione che riguarda circa 36 milioni di donne, uomini e bambini in tutto il mondo: dall’Uzbekistan ad Haiti, dal Qatar all’India, alla Russia, alla Cina, fino ad arrivare al Pakistan. Nell’Africa sub-sahariana è una pratica comune in Ciad, Mali, parte del Senegal e, appunto, in Mauritania.